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Fëdor ed io


Vado a comprare una Bic in cartoleria - dove costano 20 cent in più ma nei megastore non c'è l'odore dei colori Giotto e della carta da presepe di quando ero bambino - e uno strano signore, un po' matto, trasandato come chi se ne infischia di Carla Gozzi, sta lì a mettere in croce la commessa: vuole cento quaderni a righe tutti uguali, e lei non ce li ha. Lui concede "Anche se non hanno le copertine identiche, fa niente. L'importante è che siano dello stesso formato". "Ho una marea di quadernoni" - implora la ragazza; e l'altro "Ma no, non devo mica tornare a scuola", e così non riescono a intendersi. Mi avvicino e mi impiccio, ma con discrezione: deformazione professionale addolcita dalla buona creanza materna. Indago e scopro che l'uomo - sui sessanta, magro e altissimo, in bermuda e sandali da spiaggia, barba trappista - ha in animo di riscrivere a penna I demoni di Dostoevskij. Tutto il romanzo, dalla prima all'ultima parola, come fosse la ricetta della torta di mele, nomi in russo compresi. Gli chiedo perché, perché perché è il motore di ogni mia scrittura, e tutte le volte che intuisco una faccenda potente me ne innamoro. "Piuttosco che scrivere un romanzo sciocco - mi svela, - io che non ho talento preferisco riscriverne uno magnifico". Cavoli, è una risposta che mi paralizza, per quanto è perfetta. "E poi così passo il tempo - tanto mia moglie mi ha lasciato per un venditore di angurie. E del resto far l'amore con lei non era questa gran festa. Passo il tempo e imparo pure qualcosa: le parole che non so le cerco sul vocabolario". "Allora - insisto - lei è come un falsario che rifà Caravaggio". "Eh, una specie. E poi dovrebbe vedere che bella calligrafia che ho. Sono ignorante ma ho una certa grazia. Un giorno la invito a casa mia - ma mi dia il tempo di scrivere un paio di capitoli - così mi saprà dire". Mi commuovo, quasi. Lo ringrazio per quella piccola lezione di umiltà, gli stringo la mano, poi compro e gli regalo dieci quaderni, che la commessa ha scovato in un sottoscala. Li accetta: non dà esattamente l'idea di uno cui il denaro esca dagli occhi; piuttosto un poeta, una persona con cui sarebbe fertile passare qualche pomeriggio in chiacchiere. E alla fine torno a casa, e a casa mi accorgo - scervellato che non sono altro - che ho dimenticato di comprare la Bic.

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Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

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