Può darsi che se me la pianto di scrivere, tutta questa nostalgia del passato che mi intride, la micidiale ostinazione a tornare dove non c'è più chi mi ha fatto star bene - dove chi mi ha fatto star bene non può neanche raggiungermi - se la smettano di tormentarmi. Le tentazioni della memoria arrivano perché io lascio aperti tutti i confini, non ci sono posti di guardia a rimandarle indietro, i passaggi a livello sono divelti, e così entra tutto: case in via Cardoli, stagioni di vento, domeniche cricchianti di cicale, Pietro e Rita giovani, baci a Corinto, piccoli ranger, frammenti intraducibili di Archiloco, Silvia che m'innamora come mai più. Tutti quei giorni premono alle frontiere, come i barbari alla fine dell'impero. Stamattina me lo diceva mia figlia, in macchina: Roma è finita perché era corrotta, non per via dei Germani. Insomma, hanno trovato la strada spianata. Come le mie malinconie. Che si nutrono di tutto quello che è ricordo, tenerezza. Si nutrono della mia corruzione nostalgica, dell'infatuazione che mi danno gli oggetti appartenuti ai morti. Maledizione. Scrivere è non arrivare mai da nessuna parte, guardare le cose sempre sbiadite perché per gli infelici non esiste nitidezza, tutto scontorna, è tremulo, come un budino. Più cose ci ficco dentro, nella scrittura, più ne restano fuori, è un pozzo senza fondo, una bocca mai sazia. Eppure ambisco alla leggerezza, al soprappensiero, a dormire innocente e a svegliarmi allegro, convinto che un problema è anche una soluzione: basta rovesciarlo, come un calzino. Camminare di lato, è il segreto della longevità. E scrivo nonostante. Nonostante non serve, dico. Spariamo a salve. Avete mai visto un'ingiustizia sanata scrivendo? Ma non fa niente. Per il resto, nella mia chiavetta scrausa - che mi diverto a fumare come stupefacente innocuo - c'è tutto quello che mi occorre: le mie parole, che a dispetto dei santi presto saranno un altro fiume da solcare in piroga. Placido, divertente, con qualche rapida nascosta dietro un'ansa, massi affioranti e un finale che ribalta tutti gli assunti. Per cui adesso non mi dite che 'sto romanzo non avete una gran voglia di leggerlo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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