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Visualizzazione dei post da 2014

Mia madre

Certe sere mia madre tornava dalla tabaccheria e io l'aspettavo in finestra. Era bello aspettarla, d'inverno e d'estate. D'inverno perché stare dentro casa a guardar fuori la notte gelata mi dava un'emozione da assediato; d'estate perché la Flaminia era luminosa, la gente vestiva leggera e rideva salutandosi e se mi staccavo per un attimo dalla finestra giocavo a indovinare se quella voce era la sua o no. Leggevo tanto già allora, lei mi portava Tex e La Storia del West . Il dopocena allora prendeva una piega fantastica, solo in quei momenti ho desiderato che la mia vita non finisse mai e che fosse sempre come era. I sentimenti di quella stagione che a viverla sembrò interminabile e che ora è talmente lontana da parermi la vita di un altro mi ricompaiono adesso, come amici che fanno l'improvviso sulla porta di casa, dopo trent'anni di lontananza. Era un'epoca infelice, per lo più, eppure a guardarla ora fortunatissima. C'erano persone che mi am

Ho messo in circolo il mio amore

Guardo fuori dalla portafinestra, c'è una strada, cani che orinano sulle saracinesche dei garage, un sabato che l'anno alla fine e il freddo fanno inospitale, una donna stupida o cattiva (o tutt'e due) che ogni volta che parcheggia si prende due posti, due vecchi a passeggio che han dimenticato di morire. In piedi dentro il mio ingressoconangolocottura osservo non visto e riepilogo a memoria le cose fatte - non solo accadute, fatte perché ne ho avuto dominio - in questo stupefacente duemilaquattordici. A ogni ripiegamento occorre la sua musica, per cui scelgo Liga e Liga mette in circolo il suo amore, che poi è il mio perché uguale al mio vive di novità, inversioni di marcia, camere d'albergo dove lasciare il cuore, scoperte sbalorditive, come trovare fiori in un campo che credevi solo di ortiche. C'è un premio alla  fine dell'inferno, ma solo se ce la fai a farlo tutto senza prendere scorciatoie, senza stordirti di liquori e ansiolitici. Te, Franceschini, con

Il destino di uno scrittore

Ieri ho parlato ancora una volta di Mirka, la ragazzina che sono diventato dentro al romanzo, e ho raccontato come non sia stato poi così difficile indossare le sue scarpe, ragionare e parlare come farebbe lei se fosse vera. La quarta persona è entrata in nuove case ed è sempre un'emozione pudica quando succede. Non vorrei mai essere invadente, ho insegnato a Mirka a chiedere permesso; lei - nonostante quel caratteraccio che si ritrova - ha tenuto a freno la lingua e risposto a tutte le domande, perfino quelle bislacche. Le han chiesto se non avesse un amorino. Ha detto - impassibile - che nelle pagine bianche tra un capitolo e l'altro, fuori campo, magari è successo pure. Ma immaginatevelo voi , ha aggiunto. Dal canto mio - parlo del me fuori dal libro, che torna quarantasettenne e uomo - la vita inspiegabile piegata fino a settembre all'irrazionalità del dolore ha trovato il proprio senso in una nuova stagione di bellezza. Se mi stacco dalle cose che incidono il giorno

Il peso specifico della felicità

Ieri il nostro matrimonio sarebbe diventato diciottenne. Ci siamo sposati il 15 dicembre del '96, non avevo neanche trent'anni. Festeggiano le nozze d'argento e d'oro, i più fortunati. Non ho mai sentito parlare delle nozze maggiorenni : magari le avremmo inventate noi e celebrate sobriamente, come ogni altra ricorrenza. Tre mesi fa avrei detto che mi aspettava, vile come sempre, un altro anniversario di lutto, di stordimento. Invece ieri ho preso per mano la donna che amo, ho riso e parlato con lei, che è l'impalcatura su cui poggia tutto il resto della mia vita. Ti ho onorata, evocata, dicendole che ne sono innamorato, perché non c'è contraddizione tra il tuo tenero ricordo e questo miracoloso presente. Lei è la donna che qualunque uomo in cerca della fortuna vorrebbe avere accanto. Grazie al cielo di uomini  orientati nell'unica direzione che vale qualunque prezzo ce ne sono sempre meno e allora per sorte, per tua mano - chissà -  è arrivata fino a me.

Recensione bellissima...

Se dio decidesse di discendere nuovamente sulla terra, disciolto dal vincolo di dispensare a ciascuno il castigo o la ricompensa secondo le proprie colpe o i propri meriti, il santissimo preferirebbe una fugace comparsa su un format tv in diretta globale o una ierofania a reti unificate sul notiziario delle venti, con un codazzo di addetti stampa. Invece, è nei panni di un tatuatore scaltro e corpulento che sceglie di incarnare il nume la fantasia “randomica” di Francesco Franceschini, autore de La quarta persona più importante, Verbavolant edizioni. Segno dei tempi. Che sia comodo leggervi un’allegoria o più semplicemente un divertissement letterario e bizzarro, le ragioni sono da ricercare più nei dettagli e negli effetti che questo romanzo surreale e comico, a tratti sornione con le questioni spinose della teologia, produce sul lettore, prodigo di espedienti narrativi originali e stravaganti che si diramano copiosi come rivoli nel fiume della narrazione (come il papa groupie che

La bambina che voleva toccare le stelle

A Mirka piaceva guardare le stelle. Sul terrazzo - quando i suoi dormivano - si avvolgeva in un plaid dalla testa ai piedi e dentro quel rifugio sicuro come una grotta osservava il cielo annottato. Aspettava le stagioni fredde perché attorno ci fosse silenzio e il peso dell'universo le desse il brivido dell'assediata. Sperava che l'anno dopo avrebbe potuto toccarle ma l'anno dopo le stelle erano sempre lontane, benché lei fosse cresciuta. Ne immaginava la consistenza come quella di certe saponette che le donne cercano nei cassetti quando han voglia di far aspettare gli spasimanti, o come quella della pasta modellabile in cui affondava le dita. Non sapeva se le stelle fossero dure o molli, l'aveva chiesto a suo padre, lui aveva risposto Alcune sì, certe altre no e poi si era ammutolito come suo solito. Le stelle le piacevano, ma non così tanto se non fosse riuscita a toccarle. Nella sua classifica delle cose da toccare erano scese al terzo, poi al settimo, poi al qu

Un nuovo inizio

Una volta lavoravo con più entusiasmo: ero giovane. Da un po' di tempo sento che quello che faccio ha un senso solo per me, e nessun altro. Lo chiamano insegnamento, mi chiamano professore. E pretendono che io sia anche gendarme, psicologo, spalla su cui piangere, rassicuratore di genitori. Io che ho il culto della mia ragazza e poi in subordine quello della parola scritta, scopro che la parola scritta non attira nessuno, è disutile. Sprecato il tempo che si passa a spiccicarla con le labbra, a decifrarla. Ho una passione congenita per la bellezza: da una manciata di settimane ne ho avuto conferma. So riconoscerla, ho questo vanto. Ma le ore dense nate a scuola troppo più spesso a scuola muoiono e non c'è nessuno che renda loro giustizia. La bellezza a quello che insegno non gliela dò io, naturalmente. Condisco come meglio posso un racconto, questo sì. Se sono in buona - e sono in buona se ho lei nel cuore e nell'avvenire, come provvidenzialmente accade da quella domenica d

A nessun essere umano mai

La domenica mattina non è un posto del mondo, abita altri spazi, racconta un universo differente, somiglia al nostro ma proietta una luce più chiara: le colline mentre le scendi e torni a casa sono più nitide, i loro contorni grossi, come ricalcati a matita. Io combatto la vita feriale, che già a metà domenica mi s'affaccia molesta all'anima, con la mia vita festiva accanto, lì sul sedile del passeggero, che mi abbraccia e mi tiene la mano, e cambio con la sinistra. Così lavoriamo per fare della convivenza la regola quotidiana e non solo un'occasione su sette se il resto è una gioia morsa a ore anguste. Siamo concentrati sull'obiettivo, strafatti di canzoni scritte solo a sentir parlare di noi e tristi come eravamo allegri il sabato che siam partiti, venti ore fa. Sarà la malinconia a colorare la domenica presto di una mano di luce aliena - ieri poi che rinsellava l'ora solare tutto aveva un aspetto accecante e insonne, come le nostre due facce che avevano dormito a

La nouvelle vague a casa mia

Se la Dyane non fosse stata decappottabile magari io il cinema non l'avrei così nel sangue. Accadde invece che mio zio Gastone, ai tempi in cui era ancora scapolo e probabilmente felice, mi mise in mano una cinepresa Super 8 e mi sfidò: Vediamo quello che sai fare . Stavo per andare in quarta elementare e già manifestavo seminali sintomi di misantropia che gli adulti scambiavano per timidezza. L'attaccamento un po' maniacale di Gastone ai suoi strumenti - musicali o cinematografici che fossero -  fu vinto dall'affetto verso di me, quella e altre cento volte. Però mi ritrovai il laccetto della cinepresa legato stretto al polso, perché l'affetto va bene ma non esageriamo, e perché la mia fama di intellettuale in potenza già circolava per casa, assieme a quella - in atto, complementare e non del tutto immeritata - di svagato inciampicone. Andò che lui aprì la capote della Dyane - era una nitida mattina di settembre, nuvole sottili sbianchettavano il sole ma non sarebb

I miei baci inestimabili

Ho dato moltissimi baci a pochissime donne. Se volessi vantarmi inventerei altre labbra ma non sarei più Francesco, al massimo lo scrittore che tento di essere e il cui campo da gioco è l'iperbole. Qui nel mondo reale i limiti sono ben chiari e la regola è una sola: sii onesto e vedrai che ti apprezzano. In nome di questa onestà riesco a dire che le poche ragazze che ho baciato sono una più bella dell'altra (la qualità non è meglio del numero?), che alcune avrei voluto baciarle molto di più benché le abbia baciate tantissimo e che quei baci hanno avuto tutti le stimmate della sincerità, pur se alcuni sono stati più saporosi, molti sconvolgenti, nessuno inutile e nessuno accadde che non ridarei. Al limite a taluni -  incauti - cambierei epoca. Poi ci sono quelli che avrei voluto dare - un'altra categoria kantiana, diciamo così - e che non ho dato o ricevuto per un nonnulla; e quelli che non avrei dato o ricevuto neanche se avessi dedicato al tentativo di darli e riceverli ce

Quei cialtroni degli artisti

Mauro Laurenti durante la lezione di disegno Scrivo a caldo, con  addosso e quindi da smaltire le emozioni, le parole dette, le meraviglie disegnate, gli incontri, le nuove amicizie, le risate, le foto, gli applausi di Nera d'inchiostro . Sono frastornato e felice, e ilare d'un'allegria che durerà. Giovanna Degl'innocenti e Mauro Laurenti hanno voluto chiamare a raccolta gli amici e farli incocciare tra loro per vedere che diavolo poteva succedere. Un pericolo teoricamente tremendo. Perché se questi che si incontrano non hanno niente in comune diventa un massacro di noia e di   Te l'avevo detto di non venire a sussurrato chi li accompagna. Ma la cosa è stata architettata bene. Quelli che c'erano a Nera d'inchiostro sono artisti. Chi disegna, chi scrive, chi gira film indipendenti. E gli artisti si assomigliano e si pigliano. Il fatto mirabile è che è venuto fuori un evento sobrio e rilassato, ideale per una prima edizione, per un numero zero. Ognun

Come Paperino sul monte Orso

Comprare lo zucchero grezzo e - seduto e lieto - aspettare che salga il caffé dopo che hai sparecchiato. Fare le faccende di casa con la prospettiva di riprendere il romanzo da dove l'hai lasciato ieri, perché Jimmy dentro quella botte di mele, a sgamare l'ammutinamento, non può farci la muffa per colpa tua. Godersi i minuti che mancano all'inizio di Stardust Memories e riempire l'attesa mettendo in ordine il terrazzo. Sono parentesi tonde dentro cui proteggerti dagli accidenti del mondo, dalle cose noiose e ripetitive, dalle cose da fare per forza, dalla raccolta punti al supermarket, dalle conoscenze moleste. Mi ci rifugio come Paperino nel suo sacco a pelo in cima al monte Orso e là dentro, protetto dal freddo, sono vivo. Eccole, le sensazioni minute che rincorro! Certe piccole oasi sul cammino delle carovane danno lo stesso effetto. Il segreto  è questo: arrivarci con la testa, immaginandosele, sognandole, prima che diventino realtà e quindi essendo già felice prim

Forse mi tolgo la vita

Quando vado via vorrei tornare indietro - con la scusa degli occhiali lasciati sul frigo, dei Topolino scordati sulla finestra - e mettermi a sentire non visto cosa dicono di me quelli con cui sono stato fino allora. Specie se vai con l'anima appesantita, ché gli amici se ne sono accorti e appena non ci sei se ne chiedono il motivo, e raccontano: L'ho visto giù , o anche Non era lui, oggi , e pure - i più pratici - Avrebbe bisogno di ridere .  La terapia delle parole altrui è una mano santa, a patto che quelle che ti dicono siano le stesse pronunciate in tua assenza: a queste condizioni - rare - sono meglio di un antibiotico. Nando Martellini Capita anche che torni indietro e - nascosto al mondo - senti che nessuno parla. Sentire il silenzio dove sai che c'è gente - dentro una stanza, in una camera d'ospedale - mette un'ansia del diavolo. La gente non parla quando sospetta che colui di cui deve parlare è in ascolto e le cose che ha da dire sono troppo gravi e

Robin Williams, mio zio

Non sopporto i pagliacci negli ospedali. E non mi riferisco a certi medici - quelli chi li sopporta? -  ma proprio ai clown che vanno dai ragazzini ricoverati a gonfiare palloncini e fare giochi scemi. So che sono  volontari e li ammiro. Ma non li reggo. Non è colpa loro, sia chiaro. Caso mai mia. I clown mi danno una sinistra cupezza da che a sei anni li vedevo al circo. Per questo Patch Adams è l'unico film di Robin Williams che non mi è mai piaciuto. Ed è anche - più in generale - l'unica cosa che lui abbia fatto che se danno in tv non guardo mai. Perfino le sbronze e la cocaina a loro modo affascinano uno sobrio come me. Patch Adams no. Insomma una mattina ti svegli e -  mentre il caffé sale, tua figlia è in montagna e cerchi un paio di calzini puliti -  ti cadono gli occhi sulla pagina Fb di un amico e su quella pagina c'è la faccia di Mork. Accanto c'è scritto che è morto. Credi - speri - di aver letto male, trovi gli occhiali, leggi ancora mentre il caffé f

Sette centimetri l'anno

Se si parte si parta leggeri, che il giro sia dietro casa o del mondo, in 80 minuti o 80 giorni. Io quando parto raccolgo l'essenziale, cammin facendo comprerò quel che mi serve. Così oggi, che finalmente l'estate despota è arrivata: macchina fotografica, gomme americane, pochi spiccioli e via. È tanto che volevo andare a Civita di Bagnoregio, la città morente, costruita sul tufo dagli Etruschi 25 secoli fa. I calanchi ne erodono 7 centimetri l'anno, dicono gli esperti: una fine lenta, sarà ancora in piedi, più o meno come oggi, quando i miei nipoti - se ne avrò - saranno nonni. Ho sbagliato strada, come succede a chi guida pensando ai suoi sogni e a quella ragazza speciale e non guarda i cartelli. Son dilagato a Bagnaia, un tempo famosa per il mobilificio Petretti, poi finito in bancarotta e tragedia. Una signora con in faccia una ragnatela di rughe ma a suo modo bella usciva da una pasticceria. Le ho domandato la strada, mi ha spiegato che stavo andando da tutt'al

Il giorno dopo la festa

Hanno gettato cenere sopra il camino, soffocando l'ultimo fuoco. Noi eravamo già rincasati, gli altri si son fermati il tempo di fumare, tinti di buio non si vedevano più in faccia,  le sigarette piccole braci per capire dov'era l'uno, dov'era l'altro. Il viottolo, fatto soprappensiero di giorno, di notte diventa insidioso, senza parapetto com'è. Porta dalla radura al cancello; nelle tenebre è territorio - raccontano i sognatori, racconto io - di spiriti e animali selvatici: i primi sono sempre in ritardo a qualsiasi festa, arrivano che è finita, mugolano per il dispiacere e mentre andiamo via li scambiamo per vento; i secondi si acquattano nella boscaglia e aspettano che gli uomini passino per frugare sotto il patio se ci sono avanzi. Ogni compleanno è un rivedersi di maniera, epperò lascia il giorno dopo un'appetenza di rievocazione. Vorrei invitare tutti di nuovo e dir loro Quella di ier sera è stata solo la prova generale. Ristiamo insieme? Insomma sono

La libreria che vorrei aprire io

Sono un collezionista di roba bella. Per esempio, compro qualunque cosa disegni e pubblichi Ivo Milazzo. Lui disegna, il disegno diventa libro, io compro. Stavolta è  toccato a Un drago a forma di nuvola , l'ultimo film di Ettore Scola. Un attimo: un film? Sì, perché Scola ha 83 anni e dice che non ha più voglia di sciropparsi le fatiche del set. Così ha scritto una sceneggiatura insieme alla figlia Silvia e a Furio Scarpelli e l'ha messa in un cantone. Poi gli hanno presentato Milazzo e la sceneggiatura è diventata fumetto, voilà . Ora l'ho fatta breve, ma metteteci in mezzo dei mesi - magari qualche anno - di incontri, limature, proposte, controposte, studio grafico dei personaggi, e il gioco è fatto. Graphic novel, si dice oggi, ma non è esattamente un romanzo disegnato: è un film che non è passato nelle sale, una pellicola dove gli attori non si muovono ma devi farli muovere tu, con la fantasia, e devi immaginare le voci  - sempre con la fantasia -  e gli odori delle co

L'ultimo pezzo di cielo blu

Ogni tanto torno sulla terra, dalle mie esplorazioni svagate del cosmo, e mi tocca fare i conti con la realtà. Il genere (dis)umano mi marca stretto, certi giorni non c'è verso di dribblarlo. Conosco poche persone moleste, e faccio di tutto per frequentarle il meno possibile ma a scadenze fisse me le ritrovo davanti, non se ne vanno. Ce n'è una in particolare: una donna con cui non mi accoppierei nemmeno se me lo chiedesse il Papa  per la prosecuzione della specie, nonostante non sia poi da buttare. È però il Bignami della cortesia ipocrita e dei luoghi comuni. Dice: Devi proprio averci a che fare? Sì. Di rado per fortuna, ma sì . Amministra un potere così piccolo che - scritto -  starebbe largo sulla ghiera di una fotocamerina, ma probabilmente si sente Al Capone. Fa battute a cui non riderebbero  neanche le mie tartarughe d'acqua (quella sveglia, almeno; quella tonta forse sì) e farcisce le frasi di anacoluti involontari, la qual cosa non posso farle notare perché interpr

Come Paolo e Francesca

la camera di Paolo e Francesca a Gradara Ci ho messo un po' a capire che i piccoli traguardi sono meglio dei grandi ideali. Sia perché i primi danno un piacere minimo e costante, mentre i secondi solo ansia e un orizzonte che non si avvicina mai. Sia perché a saperla prendere, anche la vita più indesiderata ha scaglie di bellezza. Io sono stato ad Auschwitz e ne sono uscito vivo quando avrei pagato per diventare fumo dentro un camino. Una volta a casa, ho dovuto fare i conti con lo scempio: nessuna cosa era più al suo posto, tutte le belle abitudini morte -  dalla colazione della domenica alla doccia insieme quando eravamo soli, al guardarsi in faccia zitti finché non faceva notte e rassicurarsi accanto pur senza vedersi. Il mio progetto di futuro è stato - per due anni - tornare al passato. Sarebbe bastato salire fino al quattordicesimo piano del palazzo dove abitavi e fare come quelli che allargano le braccia per vedere se il vento li regge. Male che andava non ti ritrovavo m

Dichiarazione d'amore tardiva

Ti voglio bene, sai? Non mi credi? Ti voglio bene, me ne rendo conto quando sono via. Divagando, seguo strade non tracciate, cambio direzione, faccio inversioni a U, caracollo, e più lontano arrivo più ho nostalgia di te. Ti tradisco perché in ogni posto dove soggiorno appiccico il cuore, sono fatto così. M'innamoro al primo sguardo perfino delle stanze d'hotel, dove lascio che i miei vestiti prendano confidenza con un armadio vuoto per poi crudelmente - in capo a due giorni - strapparglieli via. M'incapriccio delle case degli amici e lascio un soldino sotto il divano, un obolo per dire Grazie, qui sono stato bene . Ma il motivo di ogni mio viaggio è in ogni ritorno, solo questo dà senso all'avventura, perché ogni viaggiatore è una corda che ha un capo anarchico e l'altro attaccato a un chiodo conficcato. Chi non ha niente da cui tornare non è un ribelle, solo un disperato. E allora io torno da te, e in te vivo, in te ho sofferto le pene dell'inferno aspettand

Ogni estate che ridivampa

Alcune persone mi hanno insegnato l'amore, altre l'odio. C'è comunque una figliolanza di pratiche consanguinee all'uno e all'altro sentimento: affetto, cura, o indifferenza, malauguri. In entrambi i casi l'insegnamento è stato involontario, perché l'educazione all'amore o all'odio non è pianificabile, piuttosto: spontanea. Ogni estate che ridivampa - complici la fine della scuola e la pausa in radio, che sono capodanni  tra una fase della mia vita e la successiva - ci ragiono su e a volte mi maledico per aver perso troppo tempo a odiare e troppo poco ad amare. So anche che l'odio che ho provato per un manipolo di persone indecenti è nato dalla indignazione che ho provato per le offese a mia moglie, nel momento in cui lei, malata di mieloma, è stata derisa, minacciata, accusata di fingere il cancro. Ci sta che si odi se si ama tanto, seppur meno del necessario. Poi tutto si è compiuto e certe sere in cui mi ubriaco di fotografie macchiate di sole

Questi fantasmi

Casa mia è antica e come ogni casa antica piena di impronte. Le impronte della gente che c'è passata, ci ha soggiornato, dormito, fatto l'amore, discusso, pianto, giocato a carte, riso, imprecato. Detta così sembra che abiti in una bettola malfamata ma vi giuro che non c'è passione a stare in una casa nuova, è come vivere dentro il nulla, e che invece tutte quelle cose insieme (e molte altre)  fanno l'anima di un posto, così come i giorni fanno tempo. Puoi imbiancare i muri, rifare i pavimenti, cambiare gli infissi, ma resterà sempre qualche angolo intoccato e identico a quand'eri ragazzino ed è lì che ti rifugi quando hai bisogno di malinconia. La malinconia è una fortuna, un antidoto alla modernità, non date retta a quelli che vi dicono che son sempre felici, che la malinconia è un danno: mentono o non sanno cosa si perdono. Immalinconirsi è volersi bene, cercare tepore nel passato, sorridere al tempo nonostante abbia barato, addolcire le punte vive conficcate nel

Cimeli

Lo scultore Voltero Bartolucci, Mauro Bortolotti e zio Gastone, 1957 Una baionetta della prima guerra mondiale: l'avevamo in casa, appesa al muro nel suo fodero. Quando hai una roba del genere non pensi che quella lama magari è finta nel ventre di qualche disgraziato.Ce l'hai lì e la mostri agli ospiti, ne racconti la storia, che l'ha portata dal fronte trentino un prozio, morto poi di polmonite. Marcò visita per via della febbre, un tenentino di prima nomina si convinse che faceva finta e lo mandò a spalare la neve. Morì in capo a tre giorni. Si chiamava Rosolino, aveva ventidue anni. Beh, di quella baionetta ora c'è rimasto il fodero floscio, lei è mozza. Capitò che il Comune, o lo Stato - chi si ricorda, ero bambino - emanò una legge: non si potevano tenere in casa armi bianche. Erano gli anni del terrorismo, anche un punteruolo poteva dar la stura alla rivoluzione. Così Gastone prese una sega elettrica e la amputò all'elsa. C'è rimasto il moncherino. Mi

A parte forse la sporcizia sotto le nostre unghie

Quando eravamo ragazzini giocare a pallone era un'impresa. Ci sloggiavano dal campo, qualunque fosse: la piazzetta davanti casa, un prato incolto che fingevamo san Siro, il cortile di un ospizio chiuso per debiti. Entrava l'estate e noi uscivamo. Avevamo appena riposto la roba di scuola col suo odore di maestre secche, gesso e lisoformio, che subito ci pigliava la smania alle gambe ed eravamo per strada. Si viveva senza paura, con la bellezza del giorno lungo di luce e la prospettiva che a sera avremmo mantenuto lo stato di grazia in terrazzo: lì sopra, al chiaro del lampione assediato da falene matte d'amore, ci aspettava la sedia di plastica e il seguito a fumetti dell'avventura coi comancheros. Avevo pochi anni, e a pochi anni hai necessità di costruirti attorno fortini di benessere, da abitare uno dopo l'altro, per non rimanerne mai sprovvisto. C'è che casa mia si spalanca in un tratto di vicolo che è come un'ansa di fiume: placido s'allarga col suo