Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da luglio, 2016

C'eravamo tanto armati

Da ragazzino, mio padre aveva una diagnosi certa per ogni mio malanno - Se ti gira la testa è perché mangi troppo poco - e allora io mi domandavo a che servisse il medico della mutua. Possiamo farne a meno - provai a dire una o due volte, ma non mi dava retta. Papà arrivava prima di qualunque luminare, perfino di quell'espertone di Roma - prof. Boscherini, mi pare si chiamasse - che valutò una mia tosse invincibile frutto dell'emotività. Una reazione psicologica  alla paura di crescere , rivelò a noi profani, senza sollevare gli occhi dalle sue carte. Devi stare più calmo, te lo dico sempre - trionfò papà appena fuori dello studio, e per due settimane presi degli ansiolitici blandi che però mi addormentavano. Siccome la tosse non passava, alla fine mi portarono dal medico di famiglia. Una ammissione di sconfitta, per papà, ma non c'erano santi: mi strozzavo. Il mio medico confessò che quei farmaci a suo figlio non glieli avrebbe mai dati. E io lì cominciai a preoccupa

Nizza, medioevi e calembour

Alessandro Bergonzoni Stanotte mentre non sapevo ancora di Nizza epperò ero insonne per il temporale, e sbattevano le porte, e ci ho messo un paio di sedie davanti a bloccarle, mi è venuto un gioco di parole che stuzzicherebbe - ci scommetto -  uno come Alessandro Bergonzoni, che ho intervistato a teatro quando andava in tour con Madornale 33, secoli fa. Il mio cervello lavora a cottimo e non ho ancora capito se mi conviene, e specie di notte s'infunambola su certi improbi collegamenti che mi dubitano della sua sanità. Ha fatto tutto da solo, io l'ho sentita solo rintoccare dentro la testa, la battuta del tipo: Ma uno che fa la comunione, praticamente va al Cristorante? Ecco, lievemente blasfema, come tutti i contraffugli di parole nobili, e una volta o l'altra me la giocherò in un romanzo: è genialotta, via, tanto che mi stupisco sia venuta a me. Poi, forse per un sentore sparso nell'aria nonostante fossi a tv spenta, ho pensato che potesse essere un calembour, o

Due persone che stanno insieme

Novità del romanzo (spero) imminente: è più breve degli altri perché ho avuto presto la percezione di dovermi fermare - era rotondo così - e ho scritto per la prima volta in terza persona. Niente io narrante interno ma l'io onnisciente che sta fuori, si fa i cavoli di tutti e pontifica, ma con discrezione. Insomma, una roba inedita che mi sono divertito e ho faticato a scrivere, perché volevo che tutto fosse più esatto , cosa che ha prodotto - mi pare - una piccola crescita letteraria del mio artigianato, come un vestito un po' più di pregio rispetto agli altri due. Ho di che cambiarmi per una sera di gala, se vogliamo perseverare nella metafora, e posso mettermi in tiro. Confesso che le novità non finiscono qui, c'è anche una certa qual atmosfera thriller - un omicidio, un'indagine, un gruppo di sprovveduti investigatori - ma sconclusionata, sghemba, divagante e tragicomica come piace a me. D'altro canto è il pretesto e non il fine, e quindi seguirete tre donne e

Con tutto il cuore

Chissà a chi parla l'orologio a muro quando muove i secondi col ticchettìo perverso in una casa vuota. Sessanta passetti al minuto, tremilaseicento ogni ora, in una casa morta, parole a nessuno, il pianoterra più fresco - quello di sopra, dove stanno le camere, un rovo d'aria incendiata. Sono le sillabe del tempo che cammina, quei tocchi; basta cambiare una lettera e diventano tacchi , come quelli sbattuti dal passo dell'oca, e se arrivi e spalanchi le imposte e appena si spegne il rumore che fanno - se non le trattieni - ti mettono addosso la stessa tristezza. Anche noi siamo orologi - pensavo - e facciamo cose a nessuno, parliamo al vuoto, certe volte, imperterriti a perseverare passioni insensate. L'orologio in campagna batte il tempo a prescindere; per tutto l'inverno ha tenuto il conto fino a questa vasca di sudore che non capisco come la preferiate, lo ha conservato, ha mantenuto l'andatura per servirci l'ora appena ci fossimo degnati di tornare. E ri

Parassiti

Dudley Moore, per chi si chiede chi sia questo signore Voi lo sapete meglio di me che nelle nostre case vivono animali invisibili che giocano il tempo a infilarvi le maniche delle camicie nelle maniglie, quando passate, e i cavi degli auricolari nelle scanalature dei termosifoni. Hanno forma dispettosa, ore da perdere a miniere, ronzano e credi sia la vibrazione del cellulare, ridacchiano, ti chiamano - Francé! - con le voci dei morti, e ti viene un colpo, ma loro scherzano. Si divertono così, acari o quel che diavolo sono, o talora a nasconderti le cose quando sei di fretta, che quando non ce l'hai non ti sparisce niente. Devono essere anche dentro la testa di certuni, per esempio dentro la mela marcita di quel figlio di puttana in Suv che stamattina mi ha inveito contro perché ho messo la freccia e parcheggiato, e gli ho fatto perdere diciotto secondi di vita, l'ho costretto a scalare marce, gli ho chiesto un soffio di pazienza. Stavo davanti con la mia Spark e lui dietr