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Visualizzazione dei post da 2016

Leonard Cohen

Per davvero - mi sa -  c’è soltanto un albergo a Venezia. È l’albergo dove chi ho amato ritorna e mi aspetta, seduta nuda a gambe aperte, ed ha pochi volti, e a seconda delle stagioni le labbra che ho baciato, i seni che ho morso. Sta in un angolo scuro e guarda chi va lì a far l’amore e l’uomo che c’è non è mai l’uomo che vorrebbe. Perché io, che viaggio, quell’unico albergo non lo trovo più – ma cento altri. È sperso nella nebbia, affogato nel salmastro umore della città; esiste ma non è vero: gli assomiglia al più qualcun altro d’una parentela storta, inconsistente. Ho cominciato a cercarlo che ero ragazzo, e studiavo non ricordo più cosa, contro lo schermo dei pomeriggi d’ottobre, cinema che proiettava al cielo  un crepuscolo rosa di nubi gonfie, spettacolo che non voleva saperne di diventare notte. La bellezza, così, s’aggrappava al graticcio della terrazza come un predatore, e mi entrava in casa, e posavo il libro di Epigrafia – giuro che non mi ricordo: ho detto a caso – e inca

Schizofrenie

Lunedì passato decido di comprare un libro, e già questa è una decimazione: per lui ne ho scartati tanti che magari mi sarebbero piaciuti meglio – non di più: è un fatto qualitativo, non  di quantità -  e mai lo saprò, perché i libri esclusi non rientrano in gioco, e lasciano addosso il sospetto di uno spiraglio diverso, salvifico, da cui rinuncerò a guardare, per tutta la vita. Comprarli poi , dopo non averli comprati una volta precedente - che ne fummo tentati - vuol dire che sono una seconda scelta: loro lo capiscono e te la fanno pagare, ti si aprono noiosi, cascano sotto i comodini, tra la lanugine, si fanno le orecchie da soli, alla pagina sbagliata. Avessi l'estro di ammucchiar soldi,  li spenderei senza scontentare nessuno, così una mattina di queste mi piazzerei in Feltrinelli e li comprerei tutti. Non faccio per dire: tutti, sul serio. Oppure sogno di vincere un minuto di tempo in cui – con un carrello da supermercato, surfando tra gli scaffali – mi sia permesso di port

Caste oscenità

Non credo a niente tranne che alla tenerezza. Se uno si salva dalla perversione di bocche spalancate che giurano vero tutto quello che non è, è per via che ha cura di quel sentimento: una faccenda privata che dovremmo far diventare pubblica. Al posto dell'indecente politica, per esempio, che è il suo contrario: la bugia eletta a sistema. Non credo a niente di ciò che mi racconta la politica, da nessuna parte. Non ho altra speranza che quella di sopravviverle. La tenerezza, invece. La tenerezza è un impeto di sincerità, mi bagna all'improvviso come un'oscenità intrattenuta, mi fa sacro, credente. Mi afferra in macchina, talora, mentre guido e parlo a mia figlia di una cosa così bella che mi strazia, come una canzone, la scuola, il volo di febbraio per Londra, il giorno non così lontano in cui lei mi lascerà per vivere la sua vita, e non più la nostra. La tenerezza è la condivisione di un lampo: scocca dentro, da qualche parte tra le costole e come la polvere irrita gli occhi

Tutta letteratura

Io ho il sospetto che molti sospetti che abbiamo siano verità. Per esempio: che in certi ospedali ti uccidano. E che sia una pratica assai più diffusa della eccezionalità che ci raccontano. Nella mia famiglia acquisita - la prima - è successo una volta di sicuro, probabilmente due. Cento euro a un infermiere, una flebo di pietoso veleno e fine della sofferenza. Non di chi stava male: di chi si era stancato di accudire. Non ne ho le prove: ho solo tagliato i ponti con gli assassini, non voglio più nemmeno che mi telefonino, e quando sarà voglio morire a casa mia, nella stanza del camino, dove l'infinito passato e il liquido presente si sposano ogni volta che torno. Ho poi il sospetto che questo nome del cazzo che mi ritrovo - eco accorciata del cognome - mi fraintenda: è uno pseudonimo? mi chiedono; uno scherzo ben architettato? Non posso usarlo senza spiegare la perversione di chi - innocente - mi battezzò, e allo stesso modo è un vantaggio, è partire sempre uno a zero, perché s

Donne e scrittori

Neil Gaiman È bello il freddo, fa nitide le cose, le precisa. Mi da modo di vederle più chiare, nette, e sorregge il mio ingrato dono di raccontarle. Lo scrittore è uno che ha sempre parole altre - più esatte - rispetto alla gente senza pretese. Che è quella generalmente felice, desta appena al presente, robotica, trionfale contro le smanie di precisazione, chiarificazione di ogni malnato artista. Io il freddo lo preferisco per quello: mi ricaccia dentro al mio destino, mi ricorda cosa sono, di cosa dispongo - un magro talento - e che devo usarlo a più non posso. Non crediate sia gratificante sentir dire da mia figlia che la prof di Scienze le ha chiesto se insegno italiano solo perché ho usato un congiuntivo. Spero che rimanga - le ho detto, allorché lei mi ha confessato di esser precaria, e da lì è nato tutto. Uno non può davvero girare in incognito, incafonirsi, derubricarsi dall'agenda degli svampiti distratti da sciocchezze colossali, come l'incanto che fan loro le p

Legittima difesa

Piovono giorni a centinaia, grossolanamente uguali e impercettibilmente diversi, e in ognuno trovo uno spiraglio di passato e una curiosità nuova - un romanzo da portare a casa e incamminare nel covo della lettura: l'angolo di sala che mi spetta, la mia poltrona traslocata e la lampada a stelo, che sono tutto il mondo che esiste dopo cena. Vivo così come un elastico, e il presente è sempre un rammento smarrito o un progettino a breve termine, cosa che mi procura il sospetto ansioso di chi non è fatto per l'adesso. Già so che questi anni in cui vado ad aspettare mia figlia al terminal bus diverranno attimi che mi spaccheranno il cuore quando sarà via: universitaria, o sposata, e unica titolare della sua vita. Scenderò lo stesso: da questo condominio imboschito alla piazza della festa, del mercato del venerdì; arriverà il pullman e lei non ci sarà: sarà a Londra, Nuova York, a pretendere da altre persone che non sarò io la constatazione rispettosa della sua esistenza. Ecco l

Hotel: divago

Comunque ierimattina la porta della radio - una porta interna che da nell'archivio dei vinili, colorata di blu - si è aperta due volte, e diligente ha fatto tutto il suo percorso d'arco sui cardini, come un manrovescio lento. La prima volta era socchiuso l'ingresso e ho creduto a una corrente d'aria. La seconda non c'erano spifferi: per me era il mio caro spettro. Mi ha benedetto col suo sorriso aperto, - o me lo sono immaginato -  ha certificato la mia nuova vita e dopo sono sceso  a comprare le crocchette per Struscio più rinfrancato - per strada una tipa in bici mi stava per mettere sotto, ha frenato, mi ha guardato e detto Vada vada, che se la investo poi non sento più la sua bella voce al mattino . Ogni tanto mi serve che tu mi sfantasmi attorno, è una rassicurazione. Come quando m'azzardo a ritirare l'emocromo e va tutto bene, i globuli bianchi non han dato di matto e mi allegro di avere diritto a un altro pezzo d'autunno. Struscio è contenta, n

Tristalgìa

Chissà se a dispetto del proverbio, con la sonno-lenza si pigliano almeno i pesci più sciocchi. Perché io di dormire avrei un gran bisogno, e per qualche tempo m'accontenterei. Tirerei su carpe svampite e lucci tardi, e la loro distrazione mi darebbe di che sfamarmi. Scriverei in tal caso più epidermico -  cosa di gran moda, mi dicono - e scalerei le classifiche come uno sherpa il cappadue . E sì che un tempo mi addormentavo anche sugli strapuntini, stilita improvvisato che non ero altro. Frequentavo il sonno come un buon amico; mi raggiungeva e stavamo insieme, specie al tempo dell'università, dei pomeriggi piegato sul tavolo della cucina - il mio fortilizio -  a studiare Delogu e i suoi longobardi: Alboino, Rosmunda, e poi la gran dormita. Era l'epoca delle non velleità , in cui vivere mi bastava e non cercavo scorciatoie per essere infelice: scorribande d'arte, scritture pretenziose, fama. Dovrebbe incoraggiare a far niente, la cultura occidentale; all'invisib

Sostare

Sostare e so stare io dico che sono fratelli, li hanno separati alla nascita, per via che chi sosta sa stare , lo fa evidentemente per il gusto, come io in un'altra vita, a tavola. E allora ve lo racconto non perché pretendo che vi interessi - anche se lo spero - ma per resistenza. Resistenza al tempo-liscivia che lava i miei ricordi sporchi e me li ridà immacolati, che non ci faccio più niente. Resistenza agli anni, all'avvenire che mi tira la giacca. Io all'avvenire ci tengo, sennò non intuberei tante impalcature, ma voglio andarci con più memoria che posso incollata al sedere. Per cui vi racconto di quella tavola, che erano tante ma sempre la stessa, cambiavano talora i commensali, e quando cominciarono ad assottigliarsi la stanza dov'era si abbuiò, tolsero la tovaglia, e i tarli presero a roderla. Il bello era appunto sostarci, là attorno. Dopo il caffè o appena prima, aspettando che salisse, con le briciole che Pietro rastrellava col coltello, io che rompevo le n

Il senso del buio

L'autunno ha un temperamento malinconico, come una persona schiva. Ho fatto la salita che sta sotto casa al contrario - e come ogni difficoltà presa al contrario è diventata semplice - e me ne sono riempito gli occhi, ieri, che già annottava. C'è un'oscurità più densa e pulita, quassù, è come tuffarsi in un immane squaglio di cioccolata: un secolo che non mi ci avventuravo, in una notte tanto primordiale. A piedi, a cauti passi, colla torcia del cellulare, ho bevuto un nero senza fumi, senza le sbiancature di fabbrica della città. Chinandosi, piovevano i rami un inchiostro vischioso, tutto intorno, e mangiava le pietre, i dirupi, le mie scarpe. Dolcemente, però, come appunto farebbe coi suoi atti necessari un uomo retto; e risoluto, che non si ferma a compatire il disastro ma passa oltre. Io ho fatto come quel buio, sono passato oltre, ho coperto tutto, il dolore non lo vedo più. L'oscurità fa il suo dovere: è un manto; è dio - ho pensato - che scende a patti con l'

Accontentarsi

Ah che meraviglia un'ora intera di nessun impegno, che tutte le obiezioni alla felicità ricominciano alle dieci. In questa parentesi c'entra solo ciò che mi piace, non ci sono incognite, ics da identificare, perché è il pensiero di far le cose che opprime, non tanto farle. Questa è la felicità: snuvolamento. E accontentarsi di un salto a Narni, e vedere i miei come non li ho mai visti: sereni, ospitali. Tanto che perfino un viaggio a Viterbo con un orecchio sanguinante e il sospetto di un timpano perforato diventa - incoscientemente - una gita allegra; e al ritorno prendere dieci minuti di sole insieme - che è come se beve uno ma si dissetano entrambi, se dorme lei ma mi riposo anch'io, per via che ci lega un sentimento di mutuo soccorso, al netto del sollievo per la sordità scampata. Accontentarsi. Di quello che ho e farmelo bastare, della felicità imperfetta, incrinata a ogni sasso che arriva ai vetri, e capire che senza imperfezione e paura lei non esisterebbe, pe

Aspettare

Leggo i giornali di regime e resisto - che bel verbo, così come il sostantivo sorella - alla tentazione di credere necessarie le Olimpiadi. M'indigno non tanto della smascherata ansia dei feudatari e dei titoli cubitali dei loro maniscalchi quanto della creduloneria delle persone per bene, che li difendono via web. Così resisto, e resistendo aspetto, perché aspettare è altro verbo magnifico, sorridente e fermo. Curiosa, 'sta cosa. Aspettare sottintende un movimento interiore -  l'emozione -  e pure è azione inanimata, preludio a un bene, intenzione senza dinamismo.  Emozione, azione, intenzione. Esistono parole più profondamente umane? Precisamente da giovedì 22 aspetto di rivedermi neonato e ragazzino nei film in bianco e nero di Gastone, che credevo di aver perso in uno dei cento traslochi; invece stanno, me l'ha detto Sara. Stanno nella casa primordiale, Narni, e non ho davvero idea e memoria di come possano esserci finiti. Tant'è. Li riverserò su disco, dal

L'albero cavo

Per cui ricammino le stesse strade - dell'infanzia dico - e me le vado a cercare col lanternino, per capire se ci faccio o ci sono, a essere così scervellato. Così fradicio di ricordi come fossero pioggia, e così disarmato, quando mi assalgono dai posti dove ho vissuto in bianco e nero, a riguardarmi  dai film di Gastone, che non trovo, e non so in quale delle tante case li ho seminati. Ieri avevo questo atteggiamento qua: tenero. Il pomeriggio mite, un'ora larga, capiente di quel che volevo metterci: qualsiasi cosa. E qualsiasi cosa per come la vedo io ha a che fare con la memoria. Parcheggio davanti la casa che avrei sempre voluto vedere dentro, come una donna quando non ne hai ancora vista intima nessuna, e che ieri aveva scritto Vendesi sulla porta, e per un minuto - sapete quando prende quel dissennato lampo di incoscienza che faresti qualunque enormità? - volevo telefonare, bussare, chiedere quanto vogliono. Lì nei dintorni - san Girolamo, la discesina sopra la Vallett

L'attimo furente

Dopo tanto clamore, risonanze magnetiche a Rieti, Pet a Foligno, oggi mi sono risvegliato qui - sciolto il torpore pomeridiano - in una stanza da letto senape che da su un orto di fichi piccoli e saporiti, solo ma appena per un attimo, e non più perversamente, alle due e ventiquattro di un sabato settembrino. Fino a quattro anni fa e a partire dai tre anni precedenti ogni risveglio era un tuffo in una pena infinita, come se la pena, il terrore, fossero una piscina immane. Chi non ci ha nuotato mai non sa di che parlo, beato lui. Il problema non era dove andare a mangiare, che film vedere, se era il caso di far l'amore due volte nello stesso giorno - cosa che a volte sembrava impudica e per questo sana - ma se le plasmacellule monoclonali avevano colonizzato o no un nuovo tessuto. Lo capivamo dall'emocromo: tre prelievi a settimana. Anzi, ce lo spiegavano, interpretando i numeri come pareva a loro, e tenendo nascosta o svelando - per cinismo, indifferenza - la verità. Come sono

Dieci decimi

C'è una piccola sbalorditiva canzone di Fabio Concato che racconta della malinconia, di un viottolo in mezzo ai muri bianchi di  un paese di mare, della luce che manca nello stesso tratto da quando se ne ha memoria; e di una casa di amici, più in là di quella malinconia ma dentro ancora il recinto della tenerezza, e di lui che ci arriva inatteso, di sera, e gli fanno festa, e si mettono a suonare tutti assieme. L'ho ricantata ieri, a parole stente perché tutte non me le ricordo, e soprattutto sottovoce, per pudore, mentre camminavo sull'acqua di Stifone - non come Cristo: sul ponte di ferro. Che lo so che ci ha un'altra origine, il nome - era un cantiere navale - ma a me piace spiegarmelo col vento, lamentoso, lugubre, che sfantasma d'inverno tra le gole, s'infila nei comignoli e entra senza invito in cucine dall'impiantito a mattoni. Da un po' di tempo sono soddisfatto, e della mia vita e della mia età; se potessi fermarmi mi fermerei ora, non a trent

Senza olio di palma

Avevo prenotato il mio treno virtuale, nell'attesa di fare un viaggio su un treno vero, che progetto da anni. Me ne sarei andato - infantasiato - in una baita conficcata in un bosco fitto, e ne avrei affabulato, come il sognatore cupo che sono. Questo post doveva chiamarsi, per l'appunto, La baita : didascalico e innocente. E avrei voluto raccontare il romanticismo dell'assediato: dalle tenebre, dalla malinconia, dai lupi. Bellissimo. Invece mi imbatto nelle vignette francesi sul terremoto, e nei commenti dei morti viventi. E disdico il treno dell'immaginazione, e mi ci metto di punta a capire se ci fanno o si sono. I morti viventi, dico. Vediamo se li ho studiati bene. I morti viventi sono quelli che parlano sempre dopo . Dopo una disgrazia, dopo uno scandalo, dopo l'arresto di qualcuno. Loro lo sapevano prima - lo malcelano dai post - ma ne parlano solo a cose fatte, col tono didattico e supponente dei secchioni. Sono certi - senza ombra di dubbio

Il fattore campo

Ho passato l'estate di due anni fa a fare avanti e indietro con Capranica; là c'è un centro dermatologico con i controcavoli e ci andavo a curarmi una mano: la dermatite atopica se l'era fatta amica. Così va il mondo. In realtà ogni viaggio era una scusa per scappare da via Patrizi, dalla fauna che l'abita specie d'estate, salire in macchina, accendere il climatizzatore, mettere il disco giusto - studiato sulla distanza di ottantadue chilometri; un'oretta, quindi - e dare gas, infischiandomene di tutto. Ci ripenso in questi giorni di post trasloco ancora caotici e di messa a dimora del futuro prossimo e mi sbalordisce la quantità delle cose che sono accadute, tra allora e adesso. Ho rivoltato la mia vita come mia nonna fece con un cappotto: lo dirottò su mio padre dopo che era stato di mio zio, e ho il sospetto che a quel tempo già fosse passato tra le crune gli aghi e le mani di sarte di vicolo almeno un paio di volte. Così è la mia vita, cui cambio la fod

Il migliore dei mo(n)di possibili

Gottfried Wilhelm von Leibniz Sono l'unico uomo che potevo diventare, probabilmente, e questo pensiero mi placa. Che ci fossero cento strade alternative - appena divergenti o affatto - è un'illusione, mi sa. Sono dove dovevo essere, qui e ora, perché le scelte fatte sono state millimetriche più di quanto ricordi, i rimpianti esistono solo come rievocazione del passato, e la memoria è sempre divaricata dalla realtà che la suscita. Oggi farei in un altro modo, approfitterei di certe occasioni. Ma allora no, e non ha senso giudicarsi col senno di poi. Così, non ha senso rammaricarsi: è andata nell'unico modo possibile. O quantomeno il migliore . Guardo i gatti, che non scrivono romanzi non perché incapaci: perché non gliene importa. Hanno raggiunto un'arguzia tale per cui sanno che la solitudine scontrosa è la più evoluta delle vite. E in solitudine non c'è bisogno di gettare funi agli altri. Invece noi, esseracci umani, alle prese con gelosie, detestazioni

Sciopero

C'è questa smania dell'annientamento, a volte, che mi stringe più del dovuto, e avvilisce le mattine sporche di biacca sopra il mio terrazzo, il dovere di aspettare allegro chi torna da un breve viaggio. Ma è la lontananza - più che il suo tempo - a chiudere lo stomaco. L'idea che la persona indispensabile è a 180 km e se mi occorre qui e adesso è impossibile. Un pensiero del genere è talmente stupido che uccide. Poserei l'occupazione di vivere per vedere che succede, in frangenti del genere. Sciopererei. Per protesta. Smetterei di curarmi dei figli, pagare le bollette, mangiare sano, rigar dritto, caricare il telefono, telefonare a mio padre, comprare i libri di Che tempo che fa , pagare il parchimetro. Smetterei di essere un bravo ragazzo per inaugurare l'era della teppa. Ganzo, potrei perfino scriverne sul serio, mica così. L'annientamento ha di buono che non avrei più a che fare coi film in cui ballano come dei forsennati e si confidano l'un l'altro

C'eravamo tanto armati

Da ragazzino, mio padre aveva una diagnosi certa per ogni mio malanno - Se ti gira la testa è perché mangi troppo poco - e allora io mi domandavo a che servisse il medico della mutua. Possiamo farne a meno - provai a dire una o due volte, ma non mi dava retta. Papà arrivava prima di qualunque luminare, perfino di quell'espertone di Roma - prof. Boscherini, mi pare si chiamasse - che valutò una mia tosse invincibile frutto dell'emotività. Una reazione psicologica  alla paura di crescere , rivelò a noi profani, senza sollevare gli occhi dalle sue carte. Devi stare più calmo, te lo dico sempre - trionfò papà appena fuori dello studio, e per due settimane presi degli ansiolitici blandi che però mi addormentavano. Siccome la tosse non passava, alla fine mi portarono dal medico di famiglia. Una ammissione di sconfitta, per papà, ma non c'erano santi: mi strozzavo. Il mio medico confessò che quei farmaci a suo figlio non glieli avrebbe mai dati. E io lì cominciai a preoccupa

Nizza, medioevi e calembour

Alessandro Bergonzoni Stanotte mentre non sapevo ancora di Nizza epperò ero insonne per il temporale, e sbattevano le porte, e ci ho messo un paio di sedie davanti a bloccarle, mi è venuto un gioco di parole che stuzzicherebbe - ci scommetto -  uno come Alessandro Bergonzoni, che ho intervistato a teatro quando andava in tour con Madornale 33, secoli fa. Il mio cervello lavora a cottimo e non ho ancora capito se mi conviene, e specie di notte s'infunambola su certi improbi collegamenti che mi dubitano della sua sanità. Ha fatto tutto da solo, io l'ho sentita solo rintoccare dentro la testa, la battuta del tipo: Ma uno che fa la comunione, praticamente va al Cristorante? Ecco, lievemente blasfema, come tutti i contraffugli di parole nobili, e una volta o l'altra me la giocherò in un romanzo: è genialotta, via, tanto che mi stupisco sia venuta a me. Poi, forse per un sentore sparso nell'aria nonostante fossi a tv spenta, ho pensato che potesse essere un calembour, o