Oh, sì. Se solo avessi un mestiere che mi fa costruire le cose con le mani vedrei il mio ingegno farsi concreto e avrei la prova tangibile di ciò che so fare. Ci ho pensato, qualche volta. Cucire borse, risuolare scarpe, rilegare vecchi dizionari di greco, con uno scalpello far diventare un pezzo di legno un dosa spaghetti. Invece io tutte queste cose le guardo finite, le compro nelle artigianerie, non conosco il tempo del loro trasformarsi da materia prima a oggetto, non passo le notti in bianco ad aspettare che mettan le branchie, non sperimento la poesia della loro gestazione. Sono una di quelle persone che consumano la creatività altrui e - per competitivo spirito di emulazione - provano a loro volta a creare, ma gli vengono solo libri - o altre sciocche, presunte opere d'arte - e dopo che hanno scritto un libro pretendono pure di diffonderlo ai Colossesi e ricavarne di che vivere. Invece ogni libro scritto avvicina alla morte perché a furia di prender confidenza con te stesso ti detesti sempre più: la somma di ogni ambizione fa sempre zero. Allo stesso, vorrei essere come quelli che amano i loro cani più delle persone, qualunque cosa facciano - perché così, con sentimenti stitici e primordiali è più facile vivere - anche abbaiare sotto il tuo terrazzo tutta la notte, o ringhiarti contro ogni giorno dei vent'anni che passeggi davanti allo stesso cancello; una di quelle grasse signore con guinzaglio che se fai loro notare questa roba ti odiano, e se ci fosse una legge che glielo permette ti darebbero in pasto a Nuvola. I padroni dei cani sono disumani, chiamano i loro animali Tesoro di mamma, ci conversano come se quelli capissero le parole e non il tono della voce; invece dir loro - dolcemente - Crepa male, schifoso figlio di puttana che mi hai cacato sulle scarpe, o La pappa è pronta, non vieni a mangiare, cucciolo del mio cuore? è la stessa cosa. Ma i padroni dei cani questo non lo hanno capito. Hanno valori capovolti, costoro, come quelli che ascoltano l'heavy metal e ti dicono I gusti son gusti. No, è una cazzata, non è vero. C'è un senso estetico nobile: se ti piace l'heavy metal, se pensi che i cani siano più importanti delle persone, se non ti perdi un tweet di Paolo Del Debbio, hai dei problemi: sei ancora in cammino sulla strada dell'evoluzione. Non c'è niente di male, ma è giusto che tu lo sappia.
Per cui mi fanno ridere quando dicono che mi ritiro in campagna. Quella è una parentesi graffa di tempo, un timeout, un'asocialità programmata. La mia loggetta al sole, la mia Madame Bovary mai finita e iniziata più di vent'anni or sono. Il cagnolino Lapo - abbandonato al suo destino da ignoti - che tratto da cane - cioé con umanità - e gli dò da mangiare quando nessuno di quelli che postano foto di gattini su fb - ci scommetto - lo farebbe. Perché spero poi lui ricambi il favore e mi tratti da umano. Nel rispetto dei ruoli, con caninità.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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