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Visualizzazione dei post da marzo, 2015

Il coraggio

Succhiare il cornetto Algida dalla punta. Fare sega a scuola e andare a pomiciare al parco. Fumare in quattro la stessa sigaretta e quando tocca a te pensare che le labbra prima sono state quelle di S. e fartici sopra un gran film. Sono rivoluzioni, incrinature del costume borghese, cose fatte al contrario di come si dovrebbe, per il gusto che dà. Leccare canonicamente un gelato, non infrattarsi mai all'ora di greco, fumare ognuno la propria Merit o - meglio - non fumare per niente e - soprattutto - non pensare che le labbra di S. le vorresti addosso a te, sono pratiche da morti di sonno, gente che il sabato pomeriggio non ha niente di meglio da fare che andare a servir messa.  Questo credi fino ai diciott'anni. Poi cominci a valutare meno severamente le parole di tuo padre, dai loro un peso differente; i tuoi insegnanti non sono tutti dei poveracci ma qualche dritto c'è, seppure non così tanti. Uno o due, diciamo. E prendi a vivere seguendo la strada tracciata, sband

Notizie dagli scavi

Ogni uomo dovrebbe avere una poltrona come si deve. Una poltrona definitiva, per tutta la vita, che non si sfondi mai, per leggere nell'angolo più in luce stando comodo come un re. Io una poltrona così non ce l'ho mai avuta, e ho letto sempre su strapuntini, spesso sdraiato su un divanaccio, in bagno, su una sedia in tinello, in piedi alla finestra, mentre aspettavo qualcuno che doveva pur tornare. Ti passa la voglia di leggere quando sai che leggerai scomodo, e allora cominci a scrivere, sottostimando i danni che farai. I miei romanzi sono nati per la mancanza di una poltrona come dio comanda. Oggi finalmente l'ho comprata. Un bagno di sangue ma o bene o niente: sabato me la portano a casa. So in quale angolo metterla, il problema è capire se c'entra. Deve entrarci per forza, con quello che l'ho pagata. La inaugurerò leggendo libri nuovi: una poltrona nuova vuole romanzi freschi di stampa. Mister King, il signor Baricco, per iniziare con gente che sa quel

Peccato che a Narni non c'è il mare

Adesso ricominciamo con Narni, che è tempo di raccontarla un altro po', se ci riesco stavolta in modo differente. Oggi - ultimo giorno d'inverno - ci salgo e mi trattengo più che posso, anzi quando già sono ripartito giro la macchina e torno indietro, per il gusto di tornarci due volte la stessa volta, con la scusa a me stesso di certi ellepì dimenticati. Narni ha una porta d'entrata e una d'uscita - come la vita, a guardar bene - che si scambiano le parti a seconda di dove provieni, se da nord o da sud. Oggi è un mese che non ci tornavo: mai tanto tempo di seguito le sono stato lontano. La cammino sghemba, preferibilmente da solo, mettendo alla prova la consistenza dei miei tendini sui vicoli torti e la tempra delle caviglie sui sanpietrini. In realtà non cerco Narni, cerco il me stesso ragazzino che l'abitava come dentro una polla d'ingenuità; ora, che ha uno spessore di passato mio che ricopre i monumenti e i palazzi e le case dove ho ucciso la giovinezza,

Racconti marinari

Sono un cattivo esempio, niente di meno. Parlo di ricordi come valessero qualcosa e qualcuno mi prende sul serio. A scuola certi allievi scrivono i loro nomi sotto le sedie e di seguito la data; quando chiedo perché mi rispondono che è per chi tra dieci anni le capovolgerà per gioco e ci troverà quel segno di penna: Serve a dire che siamo passati di qua , puntualizzano. Io li capisco, io che ho seminato di centesimi fessure di muro in orti altrui per vedere se a tornarci e a ritrovarli nascevano nostalgie attorno al tempo frattanto vissuto e a quell'altro ritrovato intatto come non passato. Per capire se tra i due c'è relazione. Così però si cresce male. Oppure meglio, vallo a sapere. Questa storia che tutto quel che non facciamo ci grava addosso come un rimpianto sa di seccatura. Tuttavia - per non saper né leggere né scrivere - vado appresso a tante cose belle e da un sacco sono multitasking: da prima, quantomeno, che qualcuno s'inventasse il termine. Provo a cavar gua

Indenne

Si dà il caso che mentre vado in cerca di una buona storia per il nuovo romanzo, mi imbatta in un amico che non vedo da anni. Ci riconosciamo a stento: come in Incontro di Guccini la nuova borghese cortesia rileva gli scavezzacollo che fummo. Prendiamo un caffé. Per ventura abbiamo tutti e due tempo, così ci sediamo a un tavolino a raccontarci. Io poco, gli apparecchio trenta parole: uno spuntino di dolore antico e insperato attuale conforto di cui si ciba con rispetto, senza chiedere altre pietanze. Lui invece ha voglia di parlare e mi svela di sé più di quanto - giura - abbia detto a chiunque nell'ultimo tempo. Usa una compostezza inedita - lo ricordavo febbrile, ma era il vento dell'adolescenza - mentre confessa la precarietà del suo mestiere senza contratto, del suo lavoro occasionale - occasionalmente retribuito ma giornalmente svolto - per una pia associazione a delinquere dove vescovi e chierichetti vanno insieme a benedire le aule di un istituto d'alta formazione

Là e domani

C'è poi quella faccenda delle case che prendono a vivere solo quando tu c'entri per la prima volta, anche se serbano un'altra storia incespicante cui hanno assistito negli anni, e potrebbero raccontarla. Ogni prima volta che uno lo guarda il teatro cambia pur rimanendo uguale: sono i tuoi occhi fino ad allora altrove a farlo inedito. Allo stesso modo sono entrato in una vita che ha preso a vivere solo con me, nel medesimo istante in cui la mia, di vita, rinasceva ospitando la sua. Prima c'era stato tanto dispetto e per entrambi un po' di speranza: giornate di costernazione, passioni malriposte, attese interminabili in terrazzo, rumore di macchine in avvicinamento che a svelarsi - dietro la curva - non erano più quella consueta. E tutto ciò che abbiamo vissuto di orrendo e sublime fino a una ventina di settimane fa lo abbiamo vissuto da soli. Senza noi due , voglio dire, non assieme . Sembra folle, a pensarci ora, a guardarci ora: la trama schizofrenica di un sog