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Visualizzazione dei post da luglio, 2013

Fammi sognare ancora

Una stanza d'albergo è una stanza d'albergo. Io ci lascio il cuore in tutte ma è un mio difetto di fabbricazione. Sarà per il fatto che mi danno la sensazione dell'abbandono definitivo, come quando una persona che ami ti lascia. Non che mi amino le stanze d'albergo, o almeno non ho mai approfondito l'argomento con nessuna di loro: è solo per rendere l'idea. In una stanza d'albergo ci vivi il tempo necessario a innamorartene e a non voler più andar via. Come perder la testa per una donna che lo fa di mestiere: puoi stare con lei finché paghi e poi aria. Con mia moglie l'amore ci veniva bene, nelle stanze d'albergo, ma questa è una cosa piuttosto intima, casomai ne parlo un'altra volta. Dico solo che eravamo ispirati. C'è che poi il ritorno a casa è storto, stralunato; non sai da che parte cominciare a fare ordine. Il lavoro già ti morde il sedere, avresti bisogno di altre vacanze per riposarti dalla vacanza, casa tua sembra finita dentro un p

La vita nuova

L'ultimo giorno di radio prima delle ferie è sempre un confine. Guardo indietro, alla stagione passata, e vedo le facce degli ospiti di là dal vetro, le interviste, le foto, le risate, le amicizie che nascono, la fretta di finire una diretta per correre a scuola. E scruto avanti la stagione nascente, con l'identica passione, la curiosità, di 14 anni or sono, quando cominciai a sillabare le prime stente parole dentro a un microfono. Stamattina ho attraversato un altro di quei confini - l'ultimo programma: la morte misteriosa di Mozart - e poi sono andato via e ho camminato per Terni, la mia non città. Da narnese vivere qui è una specie di esilio fuori porta, alticcio di nostalgia. I piedi andavano per conto loro, e mi portavano in posti fitti di altra nostalgia - il Classico, la Feltrinelli, piazza San Francesco, la Galleria del Corso - dove mi hanno assalito i fantasmi di un amore perduto per sempre e di un altro lontano troppi chilometri e città. I posti dove si è stati b

La scoperta della morte e della speranza

L'estate dei miei dieci anni non avevo ancora scoperto il dolore e la morte, non direttamente almeno. La morte era nei fumetti e in tv: una finzione innocua. Le estati dei tardi anni settanta le ricordo affamate di vita e innocenti. E c'erano posti, case, che avevano angoli di benessere, che andavo a ricercare ogni volta che in quelle case ci entravo. Erano le case dei miei nonni e degli zii. Una affaccia sulla Flaminia narnese e alle due di pomeriggio, mentre il sole assassinava tutto intorno, mi arrivavano riunioni condominiali di cicale e ogni tanto urli isterici di lambrette. Non so più a chi appartenga, quella casa: al pianterreno c'è lo studio di un veterinario; so che vorrei entrarci un'ultima volta perché l'ultima volta che l'ho fatto non me lo ricordo: non sospettavo che non ci sarei più andato. E' come quando incontri uno che conosci e dopo un po' ti dicono che è morto. Ti rammarichi di non averlo salutato meglio e ci stai male e temi che quell

14 luglio 1996: la presa della Bastiglia

Eravamo tra la folla parigina, oppressi dalle monarchie familiari. Pure noi giacobini affamati di libertà. Diciassette anni fa, 14 luglio 1996,  la nostra presa della Bastiglia: la vita insieme, il trasloco dalle famiglie di origine, la costruzione di una famiglia nuova, solo nostra, una nuova costituzione, regole differenti, indipendenza. Le macchine gonfie di panni e valigie e libri che non si vedeva la strada : Passiamo per la campagna, ché se ci ferma la stradale ci danno l'ergastolo . Le tue supplenze all'asilo, il mio part-time in tabaccheria. La sera, tra scatole da svuotare, gatti randagi che ci giravano intorno, mangiammo una lattina di tonno e due pomodori lì nel giardino come fossero le cose più buone del mondo. Toccavamo il sogno, lo ammiravamo compiuto. Increduli, dopo tanto aspettare. La casa di Itieli a guardarla da un certo lato sembra una piccola fortezza, in effetti: tornava tutto. Io non so se ti ho mai ringraziata per tutto questo bene che ho avuto da te

Lettera a mia moglie (2)

Amore mio, mesi fa ti ho scritto una lettera che hanno letto in tanti: amici, estranei, curiosi. Gente che ha pianto con me la tua morte e gente che la sera del funerale era già scappata. Provo a darle un seguito. Sei via da otto mesi e mezzo, tempo in cui sono successe cose che avresti condiviso con me. Sempre un po' in disparte, però, non amavi apparire. Un amico in radio mi ricordava l'altro giorno che una foto in cui siamo in gruppo, dopo una diretta mattutina, la scattasti tu. Quando lui ti propose di farti fotografare, dicesti che preferivi stare dietro l'obiettivo. Ti facevi fotografare solo da me o da Susi, ma quella era famiglia: la tua missione. Nel romanzo nuovo ho inventato una ragazza di quindici anni, l'ho chiamata Mirka. Anche lei non ama farsi fotografare. Dice che le foto in cui uno si mette in posa e viene bene poi le usano per la sua lapide: "Se vengo male in tutte le foto c'è il caso che non debba morire mai". Non ti è capitato - fors