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Visualizzazione dei post da 2012

Dago, il magnifico.

A Natale regalate Dago. E anche quando Natale sarà passato, a un compleanno, a un anniversario, una festa di laurea, regalate Dago. Magari tutta la serie, o un singolo numero, per ingolosire gli amici, a colori o in bianco e nero, in formato maxi o normale. Regalate Dago. E prima magari leggetelo. Perché Dago non è solo un fumetto, non permettete a nessuno di dirvi Leggi ancora i giornalini? se vi sorprende a sfogliarlo. Dago è arte. Per i disegni sensazionali di Alberto Salinas (prima) e di Carlos Gomez (poi), la puntigliosità dei dettagli e l'amore per la Storia che trasuda dalle sceneggiature del grande Robin Wood, capace di calarsi nella realtà complessa del XVI° secolo tra eserciti inzaccherati nel fango, battaglie campali, condottieri schizofrenici, galantuomini e assassini, città fiere, intrighi di palazzo, morte, rinascita, speranza, come ci fosse realmente vissuto. E perché Dago è una lezione di vita. Parla di coraggio, onestà, nobiltà d'animo (l'unica nobiltà cui

Soldini di speranza

"Gli uccelli lo sanno che noi non sappiamo volare o pensano che non ne abbiamo voglia?" è la domanda fondamentale di questo sorprendente film di Silvio Soldini, Il comandante e la cicogna , dove il comandante è  Giuseppe Garibaldi, o meglio la sua statua equestre, che contempla, assieme a quelle di Leonardo da Vinci, Giuseppe Verdi e Leopardi, le miserie morali dell'Italia di oggi e si chiede se non sarebbe stato meglio lasciar perdere tutto e rimanere sudditi dell'Austria. Una triste commedia fantastica, o se preferite una vivace tragedia allegra, quasi un film "alla Pasolini" per il regista di Pane e tulipani , un Uccellacci e uccelllini senza divagazioni cervellotiche, dove fantastico e quotidiano si fondono senza stridere l'uno con l'altro. E dove il padre di due figli (Valerio Mastandrea), rimasto vedovo per un banale incidente in mare, deve fare i conti con le divertenti apparizioni in bikini della moglie morta (una sexi Claudia Gerini) che sn

La diet coke e il lupo mannaro (racconto)

La fila allo sportello è lunga, può darsi qualcuno finisca per mollare. Sono qui da quaranta minuti, lo sportello deve ancora aprire, ho in mano il mio numerino di carta bianco e arancio che ho arrotolato già mille volte tra le dita. L'ho messo tra le labbra, come una foglia di tabacco. Aspetto invano che qualcuno mi dica di andarla a fumare fuori. Ho controllato i messaggi al cellulare: sono quelli di ieri, nessuno scrive a chi è in coda a uno sportello. Davanti a me due vecchi parlano di prostata, acidi urici, glicemia. Io spero di arrivarci alla loro età per poter discutere dei miei acciacchi con un coetaneo. Apre lo sportello. Una donna incinta passa davanti a tutti. Un tipo segaligno, con un ragazzino incappottato e smunto per mano, dice di avere la precedenza per via del bambino che deve portare a scuola. Sulla destra una signora bassa con un cappello che sembra un serpente acciambellato mi pianta un gomito nelle costole, si mette davanti, domanda con voce acidula: "

Il principe misantropo

Non avvicinatevi a Francesco, non toccatelo, non chiedetegli di firmare i vostri dischi, non domandategli di spiegarvi una vecchia canzone. Lui è fatto così. Lo ammette lui stesso, senza mezzi termini. Francesco ha un cognome famoso: De Gregori, per brevità chiamato artista, come raccontava  quattro anni fa, con l'album precedente. Ora torna con Sulla strada , nove canzoni ispirate, senza particolari guizzi (tranne in un caso) e senza infamia, con echi di Titanic ( Ragazza del '95 ), di Pezzi ( Belle epoque ), di Calypsos ( Falso movimento ) e collaborazioni di vaglia con Malyka Ayane e Nicola Piovani. Frasi poetiche sempre convincenti, talora sorprendenti tanto che risalta una volta di più il talento letterario del Principe che non quello musicale, un po' appiattito negli anni dopo l'ispirazione magnifica della prima parte della carriera. Un album di maniera non è necessariamente un album da disprezzare. Non è Viva l'Italia , non è Scacchi e tarocchi e nemmen

L'ospite notturno (racconto)

Le 5 e 17 di mattina, non è più notte non è ancora giorno. Mi sveglio di colpo, uno strappo netto dal sonno. L'ombra di un uomo s'aggira per la stanza, cerca di non far rumore, di non urtare i mobili. Si ferma davanti al letto matrimoniale, ne sfiora le sponde con le mani; è scalzo, lo capisco dai suoi passi: attutiti, felpati, come di gatto. Non è un ladro, avrebbe già colpito. Chi è? Che cosa vuole? Osserva me e mia moglie dormire - non capisco con quali intenzioni - in questa mattina presto d'agosto. Siamo in vacanza, io e Lina: sette giorni di noia dopo un anno di lavoro. L'appartamento al mare è troppo sulla strada: chiasso di motori e adolescenti ubriachi che sbraitano fino a tardi. La settimana ventura saremo ai ferri corti, questo viaggio è l'ultima speranza. Il nostro matrimonio si è sfasciato come una macchina che perde i pezzi. Non di schianto, no; piuttosto, un poco alla volta, con noncuranza. Invecchia male, come noi. Logoro come lo sfilacciato mare

Più di una volta non sono capace (racconto)

Tu a cosa pensi prima di dormire? Io a due cose, soprattutto: una se sto sul fianco sinistro, una se sto su quello destro. Se mi appoggio sul fianco sinistro, in modo che la testa stia ben riparata dietro la campana della plastica, ricordo Monica che sta a Tirana, il pane che impastavamo alle cinque del mattino, il forno aperto la domenica fino all'una e mezza, il russo che ogni due giorni veniva a comprare due brioches all'olio e che in dieci anni avrà detto cinquanta parole: cinque all'anno. Si chiamava Piotr, non era scortese. Solo, non parlava mai. Se mi sposto sul fianco destro devo allungarmi dalla parte opposta perché non mi va di avere il muro davanti alla faccia. I piedi vanno allora dove prima stava la testa, la testa al posto dei piedi, sopra i cartoni schiacciati di latte e sigarette. Sul fianco destro ripenso ad Alina. Ci andavamo a nascondere nella palestra dove lei insegnava educazione fisica ai ragazzini delle medie. Stavamo lì la domenica pomeriggio, qua

Comico, spaventato guerriero

Animali parlanti, fantasmi di fanciulle suicide, poesie in cerca d'autore, frikkettoni, baroni universitari, motociclisti, feste paesane, valzer compromettenti, fisarmonicisti di talento, figli emigrati, pittori in crisi d'ispirazione, giocatori di rugby, vecchie fattucchiere: c'è  forse troppa roba nel nuovo romanzo di Stefano Benni, Di tutte le ricchezze ,  impreziosito dalla splendida copertina di Giuseppe Palumbo. Un libro che parla fondamentalmente di vecchiaia,  rimpianti e  nuove occasioni. E lo fa col linguaggio consueto del Benni più inventivo, ancorché qua e là colpevole  di una qualche pagina pigra o tirata via come per un'urgenza di conclusione. L'amore tardivo che il vecchio Martin - professore in pensione, donnaiolo, con una relazione tragica alle spalle, che ha scelto di vivere isolato in un bosco - coltiva per una imprevista vicina trentenne dalle fattezze cinematografiche ricorda il vecchio mito di Faust mentre il suo perder tempo appresso a un sa

Quanta Strada da fare, Gino...

Non è che me le vado a cercare col lanternino, le storie: al contrario, mi cadono addosso, a volte quando non mi va neanche di farmi coinvolgere. Lo decidono loro il momento e il modo e non puoi opporti, solo aprire gli occhi e le orecchie. Oggi, in via Veneto, a Roma, dove sono andato per festeggiare con un giorno di ritardo l'onomastico, me ne è capitata una piccola, tra capo e collo. Commovente però, tanto da farmi venir voglia di condividerla. Ciondolavo tra negozi e caffé, senza entrare, pigramente, perché la pigrizia si addice all'ottobre romano. Al tavolino di un bar una signora giovane, meno di quarant'anni, distinta, elegante, con un gran cappello rivista di Macario. Sul grembo un cagnolino piccolo, marrone, sovrappeso: un wurstel. Intorno, via Veneto sciorinava la sua umanità: accanto ai brokers in cerca di fessi da intortare e ai tagliagole, i fantasmi dei vitelloni che vi bivaccarono. La signora a un certo punto ordina dei cornetti, delle paste. Le porta, il cam

Io e Red

Questo libro piacerà a quelli che amano i Pooh. E piacerà anche a quelli che non li amano, i quali potranno trovarci roba di un qualche valore universale: sentimenti, amicizia, onestà, tante cose non proprio trascurabili, direi. Ma non la storia del gruppo: se cercate quella, cambiate strada, ci sono volumi ben fatti con tante foto che la raccontano. Qui c'è la storia di un uomo che solo per inciso (già, per inciso: si parla di un musicista) è anche il bassista della band più famosa d'Italia. Una storia che comincia nella campagna trevigiana del secondo dopoguerra e arriva a oggi seguendo un filo di ricordi, racconti, gag (sì, perfino quelle), incontri, scelte esistenziali, destino. Red Canzian ha venduto coi suoi tre colleghi 50 milioni di dischi e non se la tira. C'è chi lo fa avendone venduti molti di meno. Ma a parte questo, Red è un bel ragazzo sessantenne che ha avuto molta fortuna nella vita - tutta meritata -  qualche dolore, come chiunque, parecchia tenacia e un o

Erri De Luca, il pesce narratore

Forse si compiace un poco, si specchia in se stesso, cerca l'effetto poetico a ogni curva del racconto quando dovrebbe andare sul pratico. Ciò non toglie che I pesci non chiudono gli occh i, di Erri De Luca, sia un libro potente: essenziale e compiuto allo stesso tempo. La storia di una fanciullezza che detesta il proprio corpo e vorrebbe romperlo per vedere se ne esce cresciuto è la storia della fanciullezza di tutti. Solo per un incidente è ambientata a Napoli in un'estate degli anni Sessanta ma andrebbe bene lo stesso se fosse qui e ora. Bello è quando il racconto prende la strada della commozione, nel ricordo che lo scrittore fa di sua madre; e anche di suo padre, innamorato dell'America a tal punto da mollare tutti e andarci e poi esule a casa sua e pesce fuor d'acqua, nella stessa Napoli, negli anni confinati del ritorno. C'è una ragazzina più grande del bambino che Erri è a quel tempo: il suo primo amore. Lui non ricorda come si chiamava e non vuole inventa

Vecchio cinema paradiso

In pomeriggi come questo si apre la scatola dei ricordi: primo sabato autunnale, cose da fare ce ne sono, così come la voglia di non farle, dispensa piena, nessuna smania di uscire. Il sabato pomeriggio è un contenitore speciale di memoria. Perché i sabati pomeriggio, più delle domeniche, la mia infanzia e l'adolescenza li passavano al cinema, a vedere di seguito lo stesso film due volte, due e mezza. Nessuno ci cacciava, se sostavamo. Gli adulti fumavano, quelli delle superiori sbaciucchiavano in ultima fila le nostre compagne delle medie, si commentavano a voce alta le scene, si anticipavano per far dispetto a chi era entrato dopo e rovinargli la sorpresa. Il cinema della mia vita, quello che mi porto dentro, è simile a quello del film di Tornatore;  meno truce forse: che mi ricordi non c'era la nave scuola a intrattenere dietro una tenda di velluto i padri di famiglia, nessuno sparò a nessuno, il proiezionista non censurava i baci. Al cinema della mia vita - quello di Narn

Ritorno al passato

Nella mia consueta ricerca di libri strani, rigorosamente non pubblicizzati in tv, mi imbatto talora in roba estremamente interessante. Come quando, in caccia di un volume sugli indiani d'America, mi sono ritrovato per le mani l'autobiografia dell'attore canadese Michael J. Fox. Si intitola Lucky man ( Tea Edizioni ) . Il mio amore per il cinema e l'ammirazione sfegatata che avevo da ragazzo per il protagonista della trilogia di Ritorno al futuro non mi hanno fatto tentennare neanche un istante dall'acquisto. Il libro è bellissimo, inutile girarci intorno. Diverte e commuove, racconta la famiglia di provenienza e gli amori giovanili e maturi, svela particolari spesso inediti dei film interpretati. Ma soprattutto racconta il Parkinson, che l'ha colpito precocemente a 29 anni nel 1990, come una benedizione. Il male che si trasforma in bene è il primo senso del libro. Michael racconta di come la malattia gli abbia permesso di guardare se stesso e gli altri con occ

Emanuela Orlandi: un delitto senza colpevoli

Se il diavolo dimora sulla terra, deve aver preso un loft in Vaticano. Non che non ne avessimo il sospetto, ma la conferma è venuta dal libro-inchiesta del giornalista Pino Nicotri sul caso di Emanuela Orlandi, la quindicenne scomparsa a Roma il 22 giugno 1983. Il libro ripercorre con puntualità e scrittura netta uno dei gialli più intricati degli ultimi trent'anni, tra depistaggi, intromissioni vere o presunte dei servizi segreti di mezzo mondo, mitomanie, insabbiamenti. Si disse che il rapimento della ragazza, figlia di un commesso del papa cresciuta e residente in Vaticano, fosse un modo per riavere indietro Alì Agca, l'attentatore di Giovanni Paolo II: uno scambio di ostaggi, insomma. Gran parte dei media dell'epoca abboccarono a questa "rassicurante" spiegazione dell'evento e- secondo Nicotri - ciò contribuì a rendere ancora più confuso e inestricabile il caso. Non mancano riferimenti al KGB e alla CIA, alla famigerata banda della Magliana, perfino a una

E guardo il mondo da un oblò

Neil Armstrong Come tanti, sono un reduce. Bambino negli anni settanta, ho fatto in tempo a vedere la tv in bianco e nero, a giocare coi trasferelli e coi soldatini miniaturizzati della Atlantic, a ritagliare le figurine dei calciatori dalla Domenica del Corriere e ad attaccarli sull'album con la coccoina, a guardare Guerre stellari al cinema, a usare la gomma pane a scuola, a bere chinotto in un'osteria. Già quegli anni erano tardo impero per coloro che, più grandi, avevano cavalcato i sessanta come chi sta sul dorso di una tigre. E i sessanta erano tante cose, ma soprattutto per il mondo erano la luna . Dormivo nella mia culla quella notte del '69 che Neil Armstrong per primo vi sbarcò. Mio padre, nell'estate torrida, tra una sigaretta e una spuma al cedro - Tito Stagno a far la telecronaca - rimase insonne: era poco più che un ragazzo. Il giorno dopo ricordo una strana euforia in casa, ma ero troppo piccolo per capirne la fonte. Mi dispiaceva che non mi dedicasse

Ma Michael Jackson è poi morto davvero?

Non credo alle coincidenze, non più di tanto. Ma capitano e danno da pensare. Sto scrivendo una parte del nuovo romanzo in cui entra in gioco un personaggio che lavora in tv dove inventa notizie false per nascondere la gravità di quelle vere. Nel numero di Martin Mystere uscito ieri, per coincidenza c'è una faccenda simile. Un gruppo di misteriosi Uomini in Nero ingaggia degli sceneggiatori per scrivere storie di complotti totalmente inventati. Lo scopo è attirare l'attenzione su queste bufale sviandola al contempo dai complotti veri, i cui organizzatori continuano nell'ombra a perseguire i loro loschi fini. Una di queste cospirazioni fittizie (fittizie almeno nel fumetto) è legata al fenomeno delle scie chimiche degli aerei (vedi link sotto). Nella storia recente si è dubitato di tutto: lo sbarco sulla Luna nel '69 sarebbe stato in realtà ripreso in un teatro di posa; Elvis Presley non sarebbe realmente morto, così come Michael Jackson mentre Paul Mc Cartney, da tutti

Cantautore senza fili

Trent'anni fa a un mio cugino militante, più grande di me, feci ascoltare  Burattino senza fili . Io ero un ragazzino delle medie, lui un universitario fuori  corso. Rimase folgorato tanto che giorni dopo, quando andai a casa sua, scoprii che aveva comprato il disco e lo aveva nascosto in mezzo a quelli degli Inti Illimani ( la musica andina: che noia mortale cantava già Dalla). Lo aveva comprato senza dirmi niente, perchè avrebbe dovuto ammettere che glielo avevo fatto piacere io e poi che figura ci faceva con gli amici ? Un paio di anni dopo, lui rinnegò Bennato e si buttò su Pino Daniele. Qualcuno gli aveva suggerito che Bennato non era ben schierato, gli aveva fatto ascoltare canzoni pericolose, non allineate, come Arrivano i buoni ( I buoni e i cattivi , album del 1974), dove i buoni, i manifestanti, gli indignati, erano più o meno come i cattivi e correvano un rischio concreto di imborghesimento, come scriveva Pasolini. A un pranzo di famiglia il cugino fuori corso annunciò

Lucca: storie dentro altre storie

Ci sono città che quando ci vai ti lasciano indifferente, altre che non vedi l'ora di scappare via. E poi ci sono quelle che ti entrano nel cuore e dove abiteresti se solo la vita, il destino, facessero il loro dovere fino in fondo. Ho sempre amato le città di mare: prima o poi, a dio piacendo, comprerò un monolocale in qualche posto del genere. Lucca non è sul mare, anche se ad annusare la  sua aria con respiro profondo l'odore di  iodio sembra quasi di sentirlo. Ci ho fatto toccata e fuga, a  Lucca, mezzo sabato e un terzo di domenica, per presentare l' Apocalisse in pantofole alla libreria Ubik, in via Fillungo. Ma ho avuto il tempo di assaporarne il fascino delle strade strette e gremite, delle torri vertiginose, il gusto degli strepitosi cornetti al burro nell'unico bar aperto alle sei  di mattina. Sono andato, con rispetto, a trovare Giacomo Puccini a casa sua, stanze sature d'afa  trasformate in museo: un pianoforte, lettere autografe dell'editore Ricord

Siani chi? Il comico?

Perchè si dimentica troppo facilmente , mi ha scritto come dedica sul suo libro Alessandro Di Virgilio. Una dedica non scontata, non la solita firma tirata via di fretta, ma una frase che ti costringe a pensare. Il libro è un libro a fumetti, graphic novel, si dice oggi. Di Virgilio lo ha sceneggiato e Emilio Lecce disegnato. La storia è la storia drammatica del giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985, a 26 anni. Fortapàsc , il bel film di Marco Risi, ne racconta in modo dettagliato gli ultimi mesi di vita. Nel fumetto la storia è fatta di flashback e piccoli ritratti di vita familiare: la nascita di Giancarlo, la nonna che vuole un bacio in cambio di una caramella e lui che non si piega al "ricatto", la sua macchina verde riconoscibilissima per le strade di Torre Annunziata, lo scetticismo dei caporedattori che scoraggiano il ragazzo dall'intraprendere un mestiere del genere. Lavorava come precario al Mattino di Napoli, Giancarlo, qu

Un bambino che leggeva (troppi) fumetti

Trent'anni fa ero un bambino che leggeva troppi fumetti. Me lo ripeteva mia madre ma poi me li comprava e a volte li leggeva prima di me. Tex, Zagor, la magnifica Storia del west di Gino D'Antonio, la poesia di Ken Parker. Roba western, fango, sudore e polvere da sparo: era un trip, la miglior roba disegnata che si potesse leggere, con buona pace dei supereroi. Poi venne l'aprile dell'82. Nelle sale stava per uscire I predatori dell'arca perduta e avrebbe di nuovo rivoluzionato il mio senso del cinema, come avevano già fatto, anni prima, Guerre stellari e Lo squalo . L'Italia di Bearzot a luglio avrebbe vinto i mondiali di Spagna, contro tutti i pronostici. A scuola ero innamorato perso di una ragazzina che oggi non riconoscerei, a incontrarla per strada.  Baglioni  e i Pooh vendevano ellepì a palate, dominando l'hit parade coi loro primi dischi live. Dischi in vinile, naturalmente. In sordina, quasi come un esperimento destinato a morire in po

Palme d'aprile

Questa che sto per raccontavi è una storia successa una domenica delle palme. Quella volta coincideva col primo aprile, il giorno degli scherzi, dei pesci finti appiccicati ai maglioni. Da ragazzi uscivamo di scuola, il primo aprile, e davamo delle gran pacche sulle spalle degli amici tonti per attaccarci qualche trota di carta ben spalmata di colla. Comunque. A parte questo. Vado a prendere mia figlia in chiesa, dopo la messa. La aspetto fuori, in macchina, perché non ho trovato posto e ho parcheggiato davanti a un'altra auto in sosta. Passa qualche minuto, arrivano due signore molto ben vestite, un grosso cespuglio di palme (presumo benedette) in mano. Una delle due addita la mia auto e sibila all'altra: "Guarda questo come c...o ha parcheggiato", l'amica le fa "Adesso gli righiamo la macchina, così impara". Non mi hanno visto, evidentemente. Scendo dall'auto, calmissimo: "Signore - replico - non c'è bisogno di arrivare a tanto, son